Descrizione
In traumatologia scheletrica, l’attuale ripensamento storico sulla fissazione esterna ne restringe le indicazioni e circoscrive i campi d’azione: ciò frena innegabili abusi del passato; aiuta però anche a rimetterla in competizione con i più moderni sistemi di sintesi ossea, costringendola a raffinarsi e migliorare. In questa catarsi, da qualche tempo si identifica una sua riscoperta in ruoli più precisi e non marginali: a privilegiarla restano tuttora da un lato le sue peculiari prerogative di precisione e potenza meccanica, dall’altro la possibilità di attuare impianti mini-invasivi. In un algoritmo che su valutazioni di costo-beneficio ne specifichi la mappa d’adozione, si configurano almeno tre categorie cliniche. • Nella fase critica sistemica del Damage Control, l’Injuri Severity Score indica già a quote numeriche basse l’obbligo della fissazione esterna, se non altro in versione provvisoria. • Per esigenze critiche a livello segmentario, resta procedura di necessità nelle lesioni fratturative con marcata compromissione trofica o grande instabilità. Un suo spazio di rendimento deriva poi da opzioni di opportunità in un confronto coi mezzi di stabilizzazione interna sia rigida che elastica: significativamente, si dimostra ad esempio sistema elettivo semplice, valido, ben tollerato in molte fratture di gamba. Nel panorama complessivo, la sua pertinenza risulta comunque ampia, talvolta di nicchia ma spesso di tipo ordinario.
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