Descrizione
Introduzione Negli ultimi 25 anni i vistosi progressi dell’Odontoiatria in generale e dell’endodonzia e parodontologia in particolare hanno portato a condizioni di recuperabilità denti in precedenza fatalmente destinati all’estrazione. Questo ha cancellato una cultura troppo spesso exodontica e protesica e le ha sostituito una nuova filosofia odontoiatrica, decisamente più conservativa. Questa tendenza però, come sempre succede, ha portato con sé problematiche nuove; in particolare ha reso frequente la necessità di ripristinare denti fortemente distrutti o addirittura decoronati dal processo carioso. In casi di questo genere assicurare una buona ritenzione al materiale da restauro e nel contempo garantire la resistenza delle strutture dentarie residue costituisce molto spesso una difficoltà tecnica di rilievo. In quest’ottica si spiega il successo e lo sviluppo numerico e qualitativo dei perni endocanalari prefabbricati, in grado di fornire una risposta adeguata alle esigenze sopracitate. Parimenti massiccio è stato, attraverso gli anni, il ricorso al perno-moncone fuso in lega aurea, soprattutto per il ripristino degli elementi monoradicolati, anche se non mancano di certo esempi e descrizioni del suo impiego nei poliradicolati, con modalità costruttive alle volte anche molto complesse. Va chiarito che il perno endocanalare non è un’invenzione dei giorni no stri. La prima notizia certa in merito ci viene da Pierre Fauchard, nel lontano 1743, e non va dimenticato che in Odontoiatria protesica l’utilizzo dell’endodonto a scopo ritentivo (vedi le corone Richmond) è pratica consolidata dal secolo scorso. La routinarietà del suo impiego clinico è però patrimonio dei tempi più recenti, che lo hanno portato, con la ovvia evoluzione, alla situazione attuale, caratterizzata da casistiche notevoli e da una merceologia decisamente ampia. L’uso del perno endocanalare ha anche conosciuto, nella opinione dei vari Autori, alterne fortune. Anni fa il ricorso a perni e viti endocanalari era fin troppo abbondante. Quasi fosse il «banco di prova» dell’abilità in Conservativa, la ricostruzione in amalgama del dente devitalizzato con perni endocanalari faceva la parte del leone in congressi, corsi e pubblicazioni. Poi, indicativamente nei primi anni ’80, a seguito di valutazioni più serie e, forse, per l’evidenziazione degli insuccessi e dei danni che un uso eccessivamente disinvolto o addirittura indiscriminato dei perni aveva causato, questa tendenza ha iniziato a cambiare. Molti Autori sono arrivati a proscrivere l’impiego di questi mezzi di ritenzione estrinseci sostenendone la dannosità potenziale e comunque l’inutilità, e affermando anzi che la ritenzione naturale, quella che sfrutta la camera pulpare e i pozzetti scavati nel primo tratto dei canali radicolari, è più che sufficiente in tutti i casi. In altre parole, si è passati per cosìdire da chi suggeriva un perno per ogni canale a chi ne sconsigliava anche uno solo e nel canale maggiore. Noi siamo convinti che le posizioni estreme non siano producenti, e preferiamo una certa elasticità di comportamento. Certo ricorriamo al solo endodonto opportunamente preparato quando le strutture residue sono di per séin grado di contribuire ad una ritenzione valida, fedeli alla massima che «in Chirurgia tutto ciò che non è indispensabile è dannoso». Però, in caso di endodonto ridotto (come nel pa?:iente anziano) o di fronte ad un dente in pratica decoronato, riteniamo vantaggioso ricorrere ad un perno, prefabbricato o fuso che sia.
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