Descrizione
Il popolo greco pronunciava la parola κόσμος per indicare l’ordine, l’universo, il decoro, l’umanità… Il principio della giusta misura, quel fuoco che Eraclito diceva fosse eternamente vivo, faceva sì che l’universo si mantenesse ordinato […]. Di questo arcaico mondo ordinato non resta che un ricordo incerto, la storia frammentaria di un abbandonato metro.
Nella narrativa del Novecento non sono rari i personaggi costretti a qualche forma di instabilità essenziale. In alcuni casi lo stato di disorientamento in cui si trovano deriva da ostacoli che le circostanze dell’intreccio disseminano sul loro cammino. La lotta con le congiunture sfavorevoli li mostra in una condizione di squilibrio, benché resti l’impressione che, in uno sviluppo più propizio, i medesimi soggetti sarebbero all’altezza della situazione. […] Un “funambolo” è costantemente sollecitato dal fenomeno dello squilibrio e al tempo stesso dalla lotta per la riconquista dell’equilibrio. Nessuna circostanza può metterlo in condizione di stabilità duratura se per “equilibrio” intendiamo una condizione solida su un piano acquisito. Le pretese del funambolo sono infinitamente più modeste: non desidera altro che mantenersi “in piedi” su una fune tesa in mezzo allo spazio vuoto, senz’altro pericolante, in procinto di cadere ad ogni soffio d’aria nel suo improbabile cammino. Il funambolo non trova altri punti d’appoggio se non nella stessa aria che intorno alla sua figura si fa più densa, perché egli possa resistere. Le correnti d’aria che lo
vorrebbero spingere fuori dall’equilibrio provengono da tutte le direzioni, ed è chiaro che il suo mantenersi in bilico sia una vera Arte. Jelena Radojev
Jelena Radojev – in delicato, precario equilibrio in un mondo tutt’altro che fictum, tutt’altro che perfetto – sceglie, come specola e bussola d’attraversamento ricognitivo, il mondo di un Primo Novecento europeo – anni Dieci/Venti – quale si mostra in certa narrativa “modernista”, quell’avanguardia cioè che s’intride volentieri della “nuova” psicoanalisi, o come minimo la sottintende e corteggia, rivelando frattanto le gabbie (altro che reti!) e il grigior vitreo delle borghesi regole dabbene, criticando ed anche proprio infrangendo miti e tabù comportamentali di quella loro società (il movente ambiguo delle azioni, il denaro come fine, il suo potere, il sesso e le sue ineffabili radici e pulsioni…), disvelandone spesso le falsità, gli auto-inganni, le chiusure mentali intorno… Jelena sfila dunque, dallo scaffale del Modernismo, tre libri, e li attraversa per individuare incrinature, smagliature, distonie di quella perduta armonia, insomma i “sintomi dello squilibrio” legati alla perdita del Κόσμος; configurandosi in ciò un umano umanissimo paradise lost (non quello di Milton) per cui gli umani esseri non si sentono (eufemisticamente) granché a proprio agio in quello che pure è, o dovrebb’essere, il loro mondo. L’armonia è irrecuperabilmente perduta: in certi individui-personaggi più che in altri, certo, tutti comunque portatori, ognuno a suo modo, di propri squilibri e disarmonie, ciascuno con peculiari segni “disarmonici” rispetto al feroce mondo intorno, dove la disarmonia in fondo è divenuta sistema. Ecco: libri inquietanti, sommoventi, tutt’altro che pacificanti. Paolo Briganti
TRE AUTORI “MODERNISTI”
Italo Svevo (Trieste 1861 – Motta di Livenza 1928), vocato alla narrativa, ma tenacemente respinto dal mondo letterario italiano, ebbe in vita solo tardivi riconoscimenti: col “caso Svevo”, scoppiato nel 1925 grazie a James Joyce, ai francesi Benjamin Crémieux e Valéry Larbaud, ad Eugenio Montale. Il merito di profondo innovatore del romanzo italiano giunse poi quasi tutto postumo: è solo dagli anni Sessanta/Settanta del Novecento che Senilità (1898) e La coscienza di Zeno (1923) prendono ad essere considerate opere “fondamentali” della letteratura italiana.
Edward Morgan Foster (Londra 1879 – Coventry 1970), autore di romanzi come A Room with a View (Camera con vista) del 1908 e Howards End (Casa Howard) del 1910, scrisse fra il 1913 e il 1914 Maurice, tenendolo però segreto a causa della vicenda apertamente omosessuale (“trasgressione” suscettibile allora, in Inghilterra, di severe condanne penali). A Maurice, pubblicato infine solo postumamente (1971), e agli altri due romanzi sopra citati, arrise notevole fama grazie alle raffinate versioni filmiche d’un cinema di qualità.
Virginia Woolf (Londra 1882 – Rodmell 1941) fu figura pubblica di spicco per l’impegno militante in nome d’una società più giusta (aveva aderito al Fabianesimo, movimento politico inglese di indirizzo socialista-riformista) e per la lotta per la parità dei diritti di uomo e donna.
Come scrittrice e saggista fu per un rinnovamento radicale in letteratura, in particolare nella narrativa. Tra i suoi romanzi spiccano Mrs Dalloway (1925) e To the Lighthouse (1927); la sua raccolta critica più famosa è The Common Reader (1925).
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