Descrizione
Manuale di perimetria
Questo libro non nasce con lo scopo di volere essere un “trattato” di Perimetria nel senso più stretto del termine. Ossia nell’accezione di una trattazione completa e sistematica di tutto lo scibile relativo a tale disciplina. Vi sono in circolazione ormai da anni autorevoli opere di quel genere, ancorché ormai datate, redatte da studiosi di fama internazionale con i quali sarebbe quanto meno velleitario, se non addirittura un po’ sfrontato, volersi confrontare. Anche se va rilevato, a proposito di quelle opere, che esse fotografano sì con estrema fedeltà la realtà del momento, ma finiscono poi con il rappresentare – per via del modo stesso in cui sono concepite – degli scatti statici, come lo sono tutti i fotogrammi. Mentre in Medicina – e dunque anche in Perimetria – tutto è in continuo divenire. Ragion per cui una cinepresa che sia costantemente in funzione appare molto più adatta della macchina fotografica per documentare quella realtà. Sulla base di queste considerazioni, ho pensato ad un’opera che fosse concepita in maniera flessibile e dinamica, costituita da capitoli che si potessero periodicamente aggiornare, anche singolarmente, per mezzo di eventuali, successive edizioni, in modo da poter continuare a mantenere il passo con quei cambiamenti significativi che sicuramente si verificheranno in futuro, nell’ambito degli studi sul campo visivo. D’altra parte – quasi a volere sconfessare, almeno in parte, quanto appena asserito – ho concepito un’opera che credo si possa definire “di ampio respiro”. Un’opera che potesse essere in grado di possedere un buon grado di completezza, e non semplicemente, dunque, uno scarno bignamino o uno stenografico manuale destinato esclusivamente a rapide e superficiali consultazioni.
Ho voluto, in altri termini, realizzare un testo idoneo a coprire tutte le necessità di conoscenza teorica e di acquisizione di nozioni pratiche che coloro che si accingono a praticare la Perimetria si trovano a dover vedere soddisfatte. Vi è da rilevare, anche a questo proposito, che qualche bignamino lo si trova effettivamente disponibile in giro. Si tratta, tuttavia, di un tipo di manualistica che – tenuta lì, a portata di mano, accanto allo strumento – può anche avere il lodevole merito di far sì che siano evitati degli autentici svarioni da parte dei meno esperti.
Questo è già qualcosa, beninteso. Sennonché, affidandosi totalmente a tali bignamini, tutto si impara meno che a ragionare, e si viene pilotati da essi passo dopo passo, in maniera acritica, come dei semplici automi. Ebbene, io, con questo mio libro, non voglio fornire allo studente alcun navigatore satellitare cui passivamente affidarsi, non voglio mettergli a disposizione alcun pilota automatico che consenta di mettere a totale riposo il cervello, una volta affidatisi a quell’ausilio. Detto in altri termini, ho sempre desiderato che i miei studenti potessero diventare dei buoni navigatori, autonomi ed esperti. E sono estremamente convinto del fatto che solo con l’attitudine al ragionamento si possa raggiungere quel grado di autonoma consapevolezza che sia capace di trasformare interi cumuli di nozioni – che, prese a sé, possono apparire effettivamente un po’ aride – in quella capacità operativa concreta che consente di muoversi con sufficienti sicurezza e disinvoltura all’interno di una data disciplina. È per questo motivo che ho voluto conferire al mio libro le caratteristiche di un Corso didattico. Il mio libro è, sostanzialmente, il mio Corso didattico (così come l’ho praticato per lunghi anni) trasposto su carta. E un Corso didattico è – per definizione – un qualche cosa che deve andare soggetto a continui, doverosi aggiornamenti e che deve stimolare quell’attitudine al ragionamento e quella propensione alla deduzione logica, cui prima si accennava.
Al fine di realizzare questi scopi, ho attinto alla mia ultraventennale esperienza didattica maturata presso la Clinica Oculistica dell’Università di Genova, alla quale va aggiunta una buona decade che ha preceduto tale fase didattica, ma che mi ha visto ugualmente costantemente impegnato negli studi sul campo visivo. La Clinica Oculistica dell’Università di Genova è un Istituto che per decenni ha rappresentato il principale polo di riferimento nazionale per quanto riguarda la ricerca nell’ambito della Perimetria, e uno degli scopi del mio libro è anche quello di onorare la memoria di chi, di quel passato così glorioso, si rese protagonista di primissimo piano. Di rendere una testimonianza concreta di quel periodo aureo. Si tratta – è doloroso doverlo constatare – di un passato che non si è saputo, o forse addirittura voluto, tentare di perpetuare, dopo che, tra un susseguirsi di eventi e l’altro (alcuni fisiologici, come possono esserlo un collocamento in quiescenza o un trasferimento ad altro incarico, alcuni ahimè tragici) il team perimetrico della Scuola di Genova – quello storico, intendo dire – ebbe a scomparire del tutto. Ma lasciamo da parte i toni malinconici, avviandoci a concludere questa introduzione asserendo che, sulla base delle molte premesse precedenti, si potrà intuire come il mio obiettivo non sia quello – lo ribadisco – della trattazione enciclopedica della materia, bensì quello, più pragmatico, della realizzazione di un percorso formativo finalizzato allo scopo di mettere in grado particolarmente i giovani che si cimenteranno con il mio Corso di essere completamente edotti e consapevoli di ciò che poi andranno a praticare sul campo. Questo è lo spirito essenziale che anima il presente testo. Nel quale, pertanto, non si reperiranno intere pagine dedicate, ad esempio, alle nozioni di fisica che sono alla base delle caratteristiche progettuali degli strumenti che esplorano il campo visivo. Le leggi di Ricco, quella di Weber, quella di Fechner, con le loro poco accattivanti formule, lo studente avrà facilmente modo di approfondirle con pochi clic, se vorrà farlo. Ciò che invece è assai meno a portata di clic è il poter apprendere a fondo qual è il ruolo del campo visivo nell’ambito della più vasta funzione visiva, qual è la filosofia sulla quale si basa l’esplorazione di questa importante funzione, quali sono le sue potenzialità ed i suoi limiti, quali sono le sue possibilità diagnostiche, in qual modo gestire al meglio gli strumenti che abbiamo a disposizione ed i programmi d’esame che essi offrono, in maniera tale da poter ottenere dei risultati utili ed attendibili, e in modo da non sprecare inutilmente preziose energie e costose risorse. Questi sono gli scopi essenziali del mio testo.
Trattandosi di scopi in primo luogo formativi, esso è pertanto destinato innanzitutto (anche se non esclusivamente) agli studenti del Corso di Laurea Triennale in Ortottica ed Assistenza Oftalmologica, nonché ai medici Specializzandi in Oftalmologia. Ad essi ricordo che l’esame del campo visivo è legato a filo doppio a quella importante e insidiosa patologia oculare che è il glaucoma, e che tale esame rappresenta a tutt’oggi – ad onta dei suoi peraltro rari detrattori – il gold standard sia ai fini della diagnosi di tale condizione patologica, sia della valutazione della sua progressione. È estremamente difficile fornire dei numeri precisi. Tuttavia, si consideri che – quando parliamo di glaucoma – ci riferiamo ad una patologia che si stima colpisca circa 80 milioni di individui nel mondo, e che le persone completamente cieche a causa di questa malattia superino i 20 milioni. Secondo stime recenti, in Italia le persone affette accertate sarebbero oltre 500.000. Ma questa cifra è con tutta probabilità inferiore ai numeri reali effettivi, anche in considerazione del fatto che si stima che un buon 50% dei pazienti glaucomatosi lo siano senza saperlo. Si consideri, inoltre, che l’incidenza del glaucoma aumenta con l’età, e che essa interessa oltre il 10% dei soggetti di età superiore ai 70 anni. Si prevede che tale incidenza arriverà ad oltre il 30% nei prossimi vent’anni, con punte del 50% nelle aree geografiche nelle quali si manifesterà in futuro un maggiore allungamento della durata della vita media. Si tratta di cifre che parlano da sole e dalle quali – se si considera che, come si diceva, l’esame del campo visivo è mezzo irrinunciabile per la diagnosi di quella patologia – si desume tutta l’importanza che tale esame riveste. Il momento storico attuale ci sta proponendo un momento di relativa calma, anche se non assolutamente piatta, per quanto concerne i progressi della Perimetria e quelli riguardanti tutto ciò che ruota attorno all’ambito “glaucoma”. Al contrario, il dilagare della maculopatia senile all’interno della nostra popolazione sempre più anziana, nonché la straordinaria evoluzione delle tecniche chirurgiche vitreo-retiniche, stanno facendo sì che chi si occupa più specificamente di patologie retiniche goda oggi in modo particolare della luce dei riflettori, anche grazie alla strutturazione attuale dei congressi medici che – prevedendo sessioni di chirurgia in diretta che hanno molto ascendente soprattutto tra i giovani – fanno apparire ai loro occhi gli esecutori degli interventi sulla retina come gli eroi del momento. Figura epica che difficilmente essi accostano a quella di chi, sommessamente, con discrezione, e per di più immerso in quella penombra che la corretta esecuzione del test richiede, pratica un esame del campo visivo. Altro che luce dei riflettori che illumina la star di turno! Eppure, ai giovani io propongo la seguente considerazione. Occorrerebbe riflettere un po’ circa il fatto che una maculopatia senile, pur se bilaterale e pur senza volerne certo sminuire il carattere pesantemente invalidante, è comunque compatibile quanto meno con un certo grado di autonomia. Per parte sua, un distacco di retina rende certamente, prima o poi, l’occhio in questione completamente cieco, se questo non viene trattato. Ma l’occhio controlaterale sopperirà, nella peggiore delle ipotesi, a tale perdita (d’accordo, nulla vieta che un soggetto sviluppi, in tempi diversi, un distacco di retina anche nel secondo occhio, ma non si tratta certo di casi così frequenti). Considerazioni analoghe a quelle fatte per la maculopatia senile possono essere poi estese anche ai non rari casi di pucker maculare. Ebbene, il glaucoma è, invece, una patologia che è di regola bilaterale e che – almeno se diagnosticata tardivamente – può condurre alla cecità. Ma a quella vera, assoluta. Quella da bastone bianco, tanto per intenderci. Non so se con queste mie riflessioni sarò riuscito a far percepire quale eroica, a questo punto, la figura del “perimetrista”. Ne dubito fortemente. Ma ci ho voluto comunque provare, con argomentazioni che ritengo dotate di una loro fondatezza, e che non sono state certo proposte con mero intento provocatorio. Un’ultima notazione. La bibliografia che correderà i capitoli di questo libro sarà una “bibliografia essenziale” (così ho voluto chiamarla), e non sistematica, come la si reperisce nei classici trattati. Ciò, coerentemente con quello spirito essenzialmente pratico che connota il mio testo. Pertanto, le citazioni saranno limitate alle sole fonti ritenute più rilevanti ai fini degli auspicati approfondimenti. A questo punto non mi resta che augurare una buona lettura, con l’auspicio di rendere possibile una esplorazione del campo visivo che sia davvero a…360°!
Gli autori:
G. Corallo
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