Descrizione
Il “right of privacy” di Warren e Brandeis è stato concepito da più di un secolo e tuttavia diventano sempre più intense le intrusioni nella nostra vita quotidiana da parte di soggetti che cercano di conoscere i nostri gusti, piaceri, occupazioni, per trarne informazioni utili a strategie di mercato. Una parte importante dell’economia si fonda sul flusso di dati consentito dai potenti mezzi di comunicazione di questa società, che non a caso viene definita “società dell’informazione” o dell’ICT – Information and Communication Technology – Il marketing attuale conosce strategie e strumenti sempre più sofisticati per carpire gli orientamenti del consumatore. Nel contempo è divenuto sempre più facile attingere notizie sulla vita degli individui, perché una grande quantità di informazioni è ormai disponibile in formato elettronico. Rodotà parla di “secondo corpo” della persona, costituito da una rete di informazioni legata alle tracce informatiche. Nasce quindi il bisogno di proteggere in maniera incisiva l’individuo da indebite ingerenze nella sua sfera privata. È stato efficacemente detto che “Non si tratta solo dell’esigenza di essere difeso dall’indiscrezione del proprio vicino, ma ancor di più di essere arbitro dei propri rapporti sociali, di riflettere nel sociale il proprio essere nella misura ritenuta più idonea e confacente alla propria personalità e, comunque, di impedire che il sociale condizioni oltre ogni limite l’espressione e l’evoluzione della propria individualità, il proprio modo di essere e di vivere”. Tutte le esigenze di protezione della persona dalle intrusioni nella sua sfera esistenziale e relazionale sono sintetizzate nella parola “privacy”, che può assumere significati diversi a seconda del contesto in cui viene usata. “Il diritto alla privacy – ha detto Diane Leenheer Zimmerman – ha tanti significati quante sono le teste di Idra”. Questo diritto, che nasce negli Stati Uniti d’America alla fine del diciannovesimo secolo, pur comprendendo la pretesa alla mera riservatezza, va al di là di essa perché interessa anche la facoltà dell’individuo di disporre delle informazioni che lo riguardano, affinché possa costruirsi una determinata identità nella società in cui vive. Il diritto all’identità personale, che rientra nella categoria dei diritti della personalità, assume due significati fondamentali: diritto all’identità fisica e diritto all’identità ideale. Mentre il diritto all’identità fisica attiene ad elementi che contraddistinguono il soggetto nella sua fisicità e nella sua condizione civile e legale, come il nome, il cognome, le impronte digitali, per identità ideale si intende il patrimonio di idee che ognuno matura nel corso del tempo. Nel 1985 la giurisprudenza, con la sentenza n. 3769 del 22.06.1985 della Suprema Corte1, diceva: “ciascun soggetto ha un interesse generalmente meritevole di tutela giuridica, di essere rappresentato, nella vita di relazione, con la sua vera identità, così come questa nella realtà sociale, generale o particolare, è conosciuta o poteva essere conosciuta con l’applicazione dei criteri della normale diligenza e della buona fede soggettiva; ha, cioè, interesse a non vedere all’esterno alterato, travisato, offuscato, contestato il proprio patrimonio intellettuale, politico sociale, religioso, ideologico, professionale, etc. quale si era estrinsecato od appariva, in base a circostanze concrete ed univoche, destinato ad estrinsecarsi nell’ambiente sociale”… mentre i segni distintivi (nome, pseudonimo, etc.) identificano, nell’attuale ordinamento, il soggetto sul piano dell’esistenza materiale e della condizione civile e legale e l’immagine evoca le mere sembianze fisiche della persona, l’identità rappresenta, invece, una formula sintetica per contraddistinguere il soggetto da un punto di vista globale delle sue specifiche caratteristiche e manifestazioni (morali, sociali, politiche, intellettuali, professionali), cioè per esprimere la concreta ed effettiva personalità individuale del soggetto quale si è venuta solidificando od appariva destinata, in base a circostanze univoche, a solidificarsi nella vita di relazione. Perciò fra il diritto al nome (e agli altri segni distintivi) ed il diritto all’identità, così come questo viene ormai configurato, ricorre una certa correlazione, ma nulla di più; non ricorre, cioè, né un rapporto di immedesimazione né un rapporto di comprensione dell’una figura rispetto all’altra”; il diritto all’identità personale si distingue… da quello alla riservatezza: il primo assicura la fedele rappresentazione alla propria proiezione sociale, il secondo, invece, la non rappresentazione all’esterno delle proprie vicende personali non aventi per i terzi un interesse socialmente apprezzabile”. Anche oggi non si mette in dubbio la sostanziale differenza fra il diritto alla riservatezza, che garantisce il riserbo su aspetti della personalità individuale, e il diritto all’identità personale, secondo il quale la divulgazione di tali aspetti deve avvenire nel rispetto della verità. Il diritto alla privacy implica sia la pretesa dell’individuo a che non siano diffuse notizie che attengono alla sua vita, sia la pretesa di non veder travisata la propria personalità. È quindi il diritto della persona a controllare in piena autonomia le informazioni dalle quali si possono conoscere le azioni che compie, ciò che pensa, la religione che professa, il suo stato di salute e l’orientamento sessuale. Nel contempo, vi può essere un interesse pubblico a conoscere aspetti della vita individuale che abbiano un rilievo sociale. Il diritto alla privacy può così entrare in conflitto con altri diritti (si pensi, tanto per esemplificare, all’interesse di un politico a tenere celate delle condotte riprovevoli) e allora può diventare recessivo rispetto ad essi. Le problematiche relative alla privacy sono tante. Lo scopo di questo testo è trattare l’argomento dal punto di vista di coloro che con la loro azione professionale incidono sul diritto alla salute del cittadino: la seguente trattazione si rivolge agli operatori in campo sanitario.
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